Cenni storici
L’attuale Ristorante Cantarana è ubicato in Via Ghibellini a Chiuro in una dimora quattrocentesca appartenente alla famiglia dalla quale nacque anche il celebre Stefano Quadrio milite. Di fronte si sviluppa l’ampio complesso che comprende il palazzo fortificato dei Quadrio e poi Rusca. La testimonianza di tale discendenza si può trovare nel portale a sesto acuto in pietra che in chiave reca lo scudo con i tre cubi, emblema de casato.
La stessa via Ghibellini era anticamente detta Visnate o Vicinate e in seguito Canterana o Cantarana (in quanto si sentiva il “cantar” delle rane).
Passava una roggia derivata dal torrente Fontana per il funzionamento di macine e magli già nel XIV secolo.
Secondo uno studio, riguardo a cosa si mangiava nella media Valtellina nel Seicento, sulla tavola non mancava mail il pane: era di “formentada”, cioè confezionato con segale e frumento, di “mistura”, di segale e miglio, raramente si trovava il pane di solo frumento. Talvolta si acquistava il “pan stile” o “sutile”, forse assimilabile ad una schiacciata.
Tra i primi piatti troviamo “uno lavigiolo di menestra” e “uno lavegiolo de orgiada” la seconda è la conosciuta minestra d’orzo, ovvero “dumega”. In altra occasione sono nominati i ravioli. Non conosciamo il ripieno né il condimento.
Spesso oggetto dell’acquisto erano “fritole” sempre vendute a numero: si tratta di frittelle di grano saraceno e formaggio, fritte. Infatti la coltivazione del grano saraceno, nella media Valtellina, si era già affermata durante il ‘500, tanto che il “formentone” veniva versato quale pagamento degli affitti.
Durante la quaresima largo posto sulla tavola aveva il pesce che si catturava soprattutto nelle peschiere distribuite lungo il corso dell’Adda amministrate dalla mensa vescovile che le dava in gestione alle famiglie altolocate.
Sulla tavola dell’oste Zampietro veniva servito anche il pesce “scarpionato”, ma soprattutto trote, “trutale, trutalia”, fresche oppure “conze”, cioè condite, oltre a “scanzone”, “arenco” e “sardelle”. La carne non mancava: fresca, arrosto, “una lonza grande de rosto”; frequenti erano anche le lumache, la cui raccolta era regolamentata dai regolamenti comunali.
Si cita il “quartirolo” cucinato sia a lesso che arrosto, il “carè” e la “zaina gropolosa”.
Fra la carne conservata si trova la “carne salada” l’odierna bresaola, salsicce e “panzetta”. Non mancavano le uova che venivano servite anche come “fritada”.
Tra i formaggi, erano preferiti il “formai vecchio” e il “formai vecchio da trit”, il formaggio stagionato da grattuggiare.
Per quanto riguarda le verdure troviamo le fave, le erbette e le “ravize”, cioè le rape.
Talvolta sulla tavola era servita anche la “torta” di cui però non viene specificata la tipologia.
Tra i condimenti risultano l’olio d’oliva, acquistato con parsimonia e a once, il burro cotto e naturalmente il sale che si trova come “sal sagra”.
Nell’osteria si potevano acquistare anche granaglie che venivano poi trasformate in farina, come la segale e il frumento. Si vende anche il “pesto netto”, il miglio pilato, ottimo per le minestre.
I pasti erano accompagnati dal vino “nero” e il vino bianco a 6 soldi il boccale.
tratto dal Bollettino della Società Storica Valtellinese n° 67 (delle robe servite all’hoste Zampietro del Dottor Camillo Quadrio de Chiuro, figlio di Nicolò)